Vito Cammarota

Vito Cammarota se ne sta svaccato su una vecchia poltroncina girevole in guardiola, davanti ai monitor delle telecamere interne a circuito chiuso. Alterna una sorsata di lager in lattina ad una boccata di toscano e di tanto in tanto rutta, grattandosi una molle e pelosa porzione di ventre non trattenuta da una canottiera lercia, dal colore indefinibile. Un vecchio ventilatore smuove aria calda, alitandogli tra le ciocche dei capelli unti e grigiastri, tenuti alla meglio sulla nuca con un elastico. Sui cinquanta – ma l’alcol, la cattiva alimentazione, una fetta di vita consumata sui marciapiedi e sulle panchine di innumerevoli stazioni gli gravano sulla groppa almeno un decennio in più – due lauree chiuse in chissà quale cassetto, nella sua vita precedente Vito era stato un brillante professore universitario, una star nel suo Dipartimento, che riempiva le aule con i suoi corsi di filosofia politica, sempre in giro per le più prestigiose Università del globo che scazzottavano tra loro per strappargli un ciclo di conferenze. Poi una matricola – della quale non ricorda nemmeno il nome, ma che nei suoi ricordi si materializza in uno sguardo satanico che gli ammicca da dietro una spalla, mentre lui sbafa e ansima sui suoi biondi e lisci capelli, tenendola per i fianchi levigati e affondando il ventre fra le chiappe tonde e dure – lo mise nei casini per una storia di sesso e coca, e il prof. vide la sua carriera stroncarsi di colpo. Dopo qualche anno di vagabondaggio, rientrò nel circuito dell’istruzione, ma come personale ATA, bidello insomma; tuttavia non passa molto – per la serie il lupo perde il pelo ma non il vizio (e si capisce, a questo punto, di che pelo stiamo parlando!) – che si ritrova ancora a girovagare bar bar senza un lavoro e con pochi soldi in tasca.

Viveva di espedienti, Vito Cammarota, portando la spesa alle vecchie per i vicoli di Montecalvario o ramazzando a fine serata il locale di qualche gestore che lo aveva preso in simpatia. Raramente rimediava lezioni private di latino o greco o qualsiasi altra materia che rientrasse nella sua ampia sfera di competenze. Più spesso gli capitava di racimolare qualcosa facendo ricerche bibliografiche per conto di laureandi e avviando loro le tesi e correggendo i vari capitoli – erano questi indubbiamente i ricavi migliori, ma se poteva evitava: entrare in quei luoghi frequentati nell’altra vita gli dava un moto di nausea, che presto si convertiva in repulsione vera e propria. Poi, il colpo di culo: un amico – un vecchio amico, della sua vita precedente – lo incontra ubriaco per strada, se lo porta a casa, gli dà una ripulita e un vestito nuovo e lo raccomanda ad una sua conoscente, una ricca matrona del quartiere alto che gli rimedia un lavoro da portiere in uno degli stabili di sua proprietà sito in via Toledo, di quelli con la doppia faccia, una che dà sulla strada dabbene dello shopping, l’altra sulla vita dei Quartieri, sulla vita che brulica e fermenta in un odore forte, aggressivo, che ti si azzecca addosso come l’afa di agosto. Il miglior lavoro che abbia mai avuto, disse stringendo le mani del suo amico-benefattore, quasi con le lacrime agli occhi.

Ed eccolo lì adesso, il vecchio Vito Cammarota, mano immersa nei boxer a massaggiarsi le palle, sigaro fumante penzoloni tra le labbra, occhio acquoso e mezzo addormentato ipnotizzato sul video lattiginoso che gli rimanda l’immagine delle macchine parcheggiate nell’autorimessa. Sta lì per prendere sonno, quando il rumore di un motore che sgasa proprio sotto la telecamera lo scuote. L’auto parcheggia nel suo lotto riservato e ne scende la sig.ra De Rosa seguita da un uomo.

Gran tocco di femmina la sig.ra De Rosa, pensa Vito, stropicciandosi gli occhi nel momento in cui i due cominciano a togliersi rapidamente i vestiti e le bocce bianche e sode della donna esplodono nel loro biancore, rischiarando la penombra fuligginosa del garage. Stanno per cominciare l’ineluttabile, quando la macchina dell’avv. Cabasissi parcheggia a una decina di metri da loro. I due amanti si genuflettono rapidamente rivestendosi alla buona, coprendosi le parti intime, più che altro. Scampato il pericolo di essere sorpresi in flagrante, riprendono a maneggiarsi più infoiati di prima, con l’adrenalina ancora in circolo nelle vene gonfie di sangue e di libidine. Ad un tratto lei scivola, forse la scarpa o ha bevuto un po’ troppo e, prona sul cofano ancora tiepido, gli offre il culo. Lui, ben piazzato, raccoglie immediatamente l’invito, impugna con la destra il cazzo bello duro e con la sinistra si tiene su la maglietta, mentre comincia a stantuffarla di buona lena. Hanno qualche impaccio con le mutande di lei, e nello sfilarle la donna si ritrova distesa di schiena sul cofano. Il cambio di posizione non dispiace al novello cicisbeo, che riprende a fottersela con buon ritmo. E quanto le piace, alla sig.ra De rosa, che ansima forte e si morde il labbro inferiore per trattenere i singulti, mentre si tira addosso il maschio arrapato, gli allaccia le gambe alle reni possenti, le braccia al collo taurino, e gli si avvinghia contro attorcigliandovisi come un’edera rampicante alla propria pertica, assecondandone i colpi col proprio bacino e con un movimento morbido e rotondo, da addomesticatrice scafata. Lui da par suo la penetra furente, con decisi uppercut di ventre, che sollevano la donna dal cofano dandogli così la possibilità di abbrancarle le floride chiappe. A quest’immagine, Vito decide che è arrivato il momento di cacciarlo fuori. È già duro, arcuato e venoso, sormontato da una cappella gonfia e rossastra come una mela annurca. Si sputa sul palmo della destra e comincia a menarselo forsennatamente, sbavandosi sulla barba sale&pepe e grugnendo come un porco con l’enfisema. Quando lei si rimette prona e si tira contro per una gamba il maschio, che riprende a lavorarsela fra le chiappe, e si volta per un istante verso la telecamera mostrando un’espressione lasciva e deformata dal piacere, Vito Cammarota non ci vede più, e si scartavetra l’uccello compulsivamente, sentendo l’orgasmo bollente fermentargli nelle viscere e gorgogliare forte, pronto a schizzare come schiuma dalla boccia di Cinzano a Capodanno. Troiamaiala, ghigna nel vedere la donna con le ginocchia piegate che va incontro ai colpi del cazzo, sempre tenendosi artigliata alla coscia del manzo per avere più spinta, digrignando i denti ed incitando il suo stallone, che prende a montarla sempre più velocemente fino a schizzarle dentro tutto lo sbrodo dei coglioni, inarcando ripetutamente la schiena per le ultime botte e per gli spasmi che cominciano a risalire la spina dorsale. Nel momento in cui la sig.ra De Rosa schianta sul cofano della macchina, soddisfacentemente sfinita, Vito Cammarota spruzza il suo piacere sulla canottiera, abbandonandosi a sua volta contro lo schienale della poltroncina girevole.

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