Mamma di periferia VI

Dopo quella notte, debbo dire che la mia vita è veramente molto cambiata. E anche quella di mio figlio. Può accaderci di tutto durante la giornata, amarezze, inciampi, e quant’altro, ma qualcosa di sconvolgente e di nuovo, di fulgido, in questa grigia realtà ci sta accadendo, qualcosa che non ha niente a che fare col mondo che ci circonda. Non so quanto durerà, ma avendo scavalcato i muri delle convenzioni, abbiamo trovato una energia fluente, pura. Abbiamo trovato il petrolio, ecco. Il petrolio in casa nostra. Anche mio figlio ha conosciuto straordinari mutamenti. Ora studia. La scuola è diventata affar suo. Pare che l’inquietudine che lo tormentava abbia ricevuto un colpo mortale. È difficile ormai pensare che tutto ciò sia male. Anche se non so dove ci porterà, sarà una strada che dovremo percorrere.

Questo pomeriggio sono rincasata presto. Domani è sabato e i lavori domestici nei condomini finiscono prima. È pieno pomeriggio quando trovo mio figlio in cucina che studia. Con grande gioia lo saluto, anche se non manifesto pienamente questa emozione. Tra noi esiste ancora un notevole imbarazzo per gli ultimi accadimenti avvenuti. Tuttavia anche lui mi saluta. È serio. Mi dice che mi deve parlare. In breve scopro che ha bisogno di ripetizioni private. Si è accorto di avere perso molto dell’anno scolastico e capisce di non poter recuperare se non con un aiuto aggiuntivo. La mia risposta naturalmente è sì, costeranno, lo so, ma ce la faremo. E’ soprattutto lietamente che accolgo la sua richiesta, finalmente responsabile. Dopo aver stabilito questo, vado a farmi una doccia. Appena sotto il getto caldo i pensieri sono tanti. Di quello che è successo tra me e lui non ne abbiamo mai parlato, anzi facciamo come se non fosse successo nulla. Esco dal bagno in accappatoio. Mio figlio si è spostato nella sua stanza di fronte al pc acceso e ad un libro aperto.

Entrando nella stanza mi avvicino al suo tavolo: “Che cosa studi?” gli chiedo, tanto per parlare. Lui risponde serio: “Sto tentando di studiare matematica ma, come ti dicevo, è difficile.”
È veramente difficile, soprattutto se si è perso qualche colpo. Mi trattengo dal fargli una carezza sulla nuca, però sorrido. Mi accorgo che uno sguardo di sottecchi sfreccia diretto verso il mio fianco. So di essere profumata e di avere solo l’accappatoio a coprirmi. Mi distolgo e dico che torno in camera mia a vestirmi. Ma una domanda mi ferma a metà.
“Non mi chiedi che pasticca avevo preso l’altra sera?” dice, riferendosi a quella frammentaria confessione, che ha funto da innesco a quegli straordinari momenti.
“Non mi interessa che cosa hai preso l’altra sera,” gli rispondo quasi risentita. “Io non voglio che tu ne prenda più, qualunque cosa sia, capisci?”
“Ho anche della marijuana” mi guarda quasi divertito, a mo’ di sfida.
“Dove?” Chiedo io allarmata.
“In cima all’armadio.” Risponde lui, sornione.

Schizzo verso l’armadio , dove effettivamente in cima sta una vecchia borsa sportiva. Mi allungo per prenderla, in punta di piedi “Ti avevo detto..” ma non riesco a finire la frase, l’accappatoio si apre mostrandomi interamente nuda, anche se solo per un attimo, perché prontamente mi ricompongo, mentre la borsa, appena smossa dal bordo dell’armadio, precipita cadendo ai miei piedi.
Rimango con le braccia raccolte attorno all’accappatoio traditore, irritata non so se per aver fatto cadere la borsa, o per essermi mostrata nuda, o per aver tolto efficacia alla ramanzina che stavo per fare a mio figlio. Forse per tutte queste cose insieme. Fatto sta che mio figlio si alza, guardandomi con una strana espressione, poi si avvicina a me e si china presso la borsa.
La apre e vi armeggia. Estrae il contenuto: una vecchia tuta, scarpe da basket decrepite, tubolari da rattoppare e una vecchia radiolina ormai in disuso, nient’altro.
Esibendo quelle vecchie cose dimenticate mio figlio alza lo sguardo verso di me scuotendo dolcemente la testa, poi aggiunge con lieve canzonatura: “stavo scherzando.”
Rimaniamo a guardarci in silenzio, lui con quel sorriso monnalisesco io sicura di aver fatto una figura da idiota, ma non più arrabbiata.
Mi giro verso la finestra, voglio riallacciarmi la cintura di spugna senza dare spettacolo questa volta.
Sento la borsa scostarsi, mio figlio è dietro di me , mi cinge dolcemente le spalle. Sento il calore del suo corpo attraverso la spugna dell’accappatoio. Ci risiamo.

Il suo viso viene ad alitarmi sulla nuca, scoperta perché ho i capelli raccolti, la sfiora, vi appoggia bocca e naso, leggermente, poi con pressione via via maggiore, ne aspira il profumo. Ne scaturiscono vibrazioni che scendono lungo la spina dorsale, sciogliendo tutto quel che trovano al passaggio. Le sue braccia mi avvolgono al vita dolcemente, mi stringono a sé. Rimango immobile, voltata verso la finestra aperta sul quartiere giganteggiante di palazzi. Una mano cerca un varco sotto l’accappatoio all’altezza del seno, ma io non glielo permetto, la accarezzo e la avvicino alla mia bocca. Voglio sentirne l’odore. Sa di sigaretta anche se so che non fuma.
Continuano dei baci lievi sulla nuca e sul collo che mi riempiono di brividi.
Non voglio indugiare, mi sciolgo lentamente dal suo abbraccio e mi giro verso di lui, evitando il suo sguardo ardente. Lo spingo dolcemente verso il suo lettuccio fino a farlo sedere.
Lui da quella posizione mi abbraccia di nuovo alla vita, appoggia il viso sul mio grembo protetto dal tessuto di spugna, suscitandovi una sensazione dilagante che voglio ignorare. Mi sciolgo anche da quella dolce trappola, mi chino davanti a lui , tra le sue gambe, e piano gli slaccio i pantaloni. Per la prima volta siamo nella luce piena di un banale pomeriggio, non più nel buio complice della notte.
Lui mi aiuta, si sfila i pantaloni, io gli accarezzo le cosce e a rallentatore, socchiudendo gli occhi, precipito col mio viso sul suo ventre, che bacio. Sono acquattata tra le sue gambe. Gli abbasso il filo dell’elastico degli slip. Il pene si sguaina eretto, pulsante, odoroso. Comincio ad accarezzarlo posandovi baci, sfioro i particolari con dita ora più consapevoli. Sopra di me il respiro si è fatto caldo, forte, discontinuo.

Gli sfilo del tutto gli slip. Mi chino inesorabile su di lui, lo ingoio, lo bacio di nuovo. Sento le sue dita passarmi tra i capelli, mi artigliano il collo, la nuca, mi passano smaniose sulle spalle. Allora lo rovescio del tutto sul letto, alzandogli il maglione, e lo bacio su tutto il ventre. Provo quasi vergogna nell’osservare l’intensità dell’eccitazione che provoco, gli spasimi di desiderio. Allora mi risolvo a fare della mia bocca vagina, e mi chino mansueta su di lui, per soddisfarlo.
Comincio ad oscillare col capo ma mio figlio mi prende la testa tra le mani distogliendomi. Poi mi tira per le braccia, vuole che salga sul letto assieme a lui.
“Cosa vuoi?” gli chiedo, sdraiandomi accanto. Non risponde , non può, non vuole dire ciò che io invece comprendo benissimo. Vuole fare l’amore con me.
“Che cosa vuoi?”. Gli chiedo ancora, crudele. “Che cosa vuoi?”. Ma lui non parla. Schiaccia il suo viso sul mio, il respiro come quello di un puledro.
“Per ora no.” gli sussurro.
Nella sua voce una nota di disperazione: “Perché no?”. Per tutta risposta lo accarezzo ancora , mi chino di nuovo su di lui, glielo prendo in bocca, mentre dal suo corpo rassegnato escono gemiti, ansiti strozzati. Un gemito più forte degli altri, a lungo tenuto, e una calda e densa materia inonda il mio palato.
Oltre la finestra scorgo i tetti dei palazzi contro il cielo bianco, ampio, anonimo, indifferente, sotto il quale brulica la vita di tante persone.
Deglutisco senza scompormi quel siero di vita.

****
Ormai mi chiedo se sia lui ad avere bisogno di me o io ad avere bisogno di lui. Ho paura della risposta. Quello che so è che un piccolo sole si è acceso nelle fosche tinte della nostra esistenza. Un sole piccolo, illecito ma vivido e caldo, nell’intimità della nostra dimora, schiacciata tra palazzi vasti come transatlantici, indifferenti a questa nostra piccola grande favilla domestica. 

Potrà sembrare strano, ma mi preoccupo soprattutto di una cosa: un fatto che non ho voluto ancora affrontare con me stessa. Mio figlio è un giovane uomo. Ha già tentato di farlo e probabilmente ci riproverà: desidera il mio corpo interamente, non posso fare finta di non saperlo. Ma mi chiedo quanto sia legittimo oltrepassare certe barriere. Solo il futuro saprà rispondere. Anzi no: la risposta verrà dai milioni di anni chiusi nelle mie cellule.

                                                                  FINE

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