I cinque peccati di Eve

Un sospirò fuoriuscì dalle labbra socchiuse, era un rituale annuale quello che stava eseguendo, il continuo ed insistente cercare una speranza, un qualcosa di diverso in quell’eterna trappola dell’anima. Era rinchiusa in quel loop, in quella sua fuga verso un uomo che non l’aveva mai aspettata nel bosco, che non era mai corso da lei come promesso. “Non voglio andare” aveva sussurrato all’oscurità mentre il corpo in brandelli gridava, mentre gli ululati si mischiavano al rumore di denti, di carne strappata, di urla, le sue urla. “Non voglio andare” aveva sussurrato e l’oscurità l’aveva ascoltata e lei era stata così stupida da credere che il prezzo sarebbe stato meno doloroso di un cuore spezzato, della morte, del calore della fine. Aveva scelto di non avere fine, di essere eterna, una pallida ombra nel mondo che si muoveva senza essere vista se non il giorno di Halloween, se non il giorno in cui mostri e spiriti dannati non camminavano sulla terra.

“Non sei stanca, Eve?” Eve, la peccatrice, Eve colei che si era fatta ingannare due volte prima dallo stesso che sussurrava al suo orecchio e poi da un uomo qualunque. “Non dovevi darmi ciò che volevo.” gli disse, il tono basso, la voce fragile come quella che aveva avuto nel giardino dell’Eden. La prima donna, intrappolata in una gabbia dorata con un uomo che pensava di possederla solo perché era stata creata dalla sua costola, come se lei non potesse avere desideri, volontà, aspirazioni, come se dovesse amarlo per forza. E quel suo desiderare l’aveva condannata, lo aveva fatto così tante volte e alla fine si era lasciata sedurre da quella voce melensa, dalle sue promesse. “Io ho sempre il vizio di darti quello che vuoi purtroppo, strano che tu non abbia ancora capito che è il Diavolo a concedere la libertà di scelta. Io ti ho solo aperto una strada, ma sei tu ad averla imboccata.” Le disse, le dita che sfioravano il suo collo in una morbida carezza, la detesta eppure è così calda.

Era una danza che continuavano da troppo tempo, da troppo. “Eve, tu hai morso la mela ed hai ottenuto ciò che volevi: la libertà.” Glielo ricordò con un soffio dolce prima di lasciare un bacio tra il collo e l’orecchio, il bacio di un amante che la portò a sospirare. Resisteva a lui da secoli e da secoli lui continuava ad andare da lei quando compariva, ogni Halloween, ogni anno come se fosse un qualche anniversario, come se tra di loro ci fosse qualcosa di più di una semplice danza. Aveva ballato con lui, si era fatta stringere da lui, aveva passato notti di Halloween intere a guardare il mondo cambiare e guardarsi la mattina scomparire per tornare al suo sonno per poi ricomparire l’anno dopo e lui sembrava quasi attenderla.

All’inizio non si parlavano, lei non gli rivolgeva nemmeno la parola oppure cercava di colpirlo, ma lui tornava sempre, lo faceva ogni volta come in quel giardino. Lo ricordava, ricordava il suo essere un serpente, il suo mormorare dagli alberi senza farsi vedere, il suo raccontargli di poter diventare qualcosa di diverso da quello che era. “Non vorresti di più?” Le aveva chiesto una volta e lei aveva detto di sì, che voleva di più, che voleva essere. Non sapeva da dove venisse quella foga, Adamo non sembrava conoscerla, era come se lui non fosse fatto di terra e fuoco, ma solo di fango mentre a lei non rimaneva altro se non l’ardere da sola. E di punto in bianco qualcuno aveva compreso le sue braci, aveva compreso quanto quel fuoco la bruciasse dall’interno e parola dopo parola si era conosciuti, avevano entrambi il medesimo ardore, il medesimo desiderio di fuga e di libertà. Ed era stata libera dopo aver mangiato la mela, una libertà crudele, ma pur sempre una libertà. “L’uomo che ti ha spezzato il cuore è stato da tempo punito, sei certa di non volertene andare?” chiese l’essere d’ombra, le mani che scivolavano lungo i suoi fianchi. “Perché lo hai punito?”. Glielo chiese senza pensarci mentre si voltava verso di lui, verso gli occhi di una sfumatura scarlatta e innaturale quanto la bellezza del suo volto. Era un desiderio, lo pensava ogni qualvolta lo vedeva. “Perché ha osato farti del male.” Le mormorò prendendole la mano per portarsela tra le labbra. “Anche se credi che sia io a volerti fare male” gli fece notare ed era vero, per secoli e secoli aveva creduto che volesse la sua sofferenza, ma dopo tutti quei secoli, le sue certezze si stavano sgretolando. “Non avrei mai voluto vederti soffrire, ma ho sottovalutato l’Ira di mio padre” aggiunse, un altro bacio e la sua voce era così dolce, quei baci così morbidi.

Da quanto tempo non veniva baciata? Da quando Lui le aveva promesso una vita diversa, da quando era scappata da Adamo e il suo possesso, dai suoi baci rozzi, dalle spinte delle sue anche, dalle sue mani che stringevano con forza nel cuore della notte come se fosse solo un pezzo di carne. “Balla con me.” Le chiese e Eve si ritrovò a sorridere, un sorriso delicato, lo stesso che aveva dedicato al serpente dopo una settimana di incontri segreti, di parole sussurrate. “Mi mancava quel sorriso.” aggiunse infine, il corpo che iniziò a muoversi a ritmo di una musica azionata dalla magia, la stessa che la faceva essere umana per una sola notte l’anno. “Perché torni ogni anno?” gli chiese, si era prefissata un numero di risposte diverse, avevano avuto nella mente quella conversazione da secoli e secoli. “Perché mi manchi ogni anno.” rispose, lo fece semplicemente e purtroppo Eve sapeva bene che il diavolo non era solito mentire, no, lui dice la verità e ti inganna con i tuoi stessi desideri, i tuoi stessi pensieri. “Perché spero di vederti ogni anno rinunciare a questa prigione anche se significherebbe dover discendere gli Inferi.” continuò, lo sguardo che cercò il suo mentre il volto si avvicinava, la languida curva delle labbra si dischiudeva di nuovo. “Perché mi mancano i nostri discorsi all’ombra del melo, perché mi manca guardarti dalle mie ombre. Perché spero ogni anno che tu decida di essere almeno un po’ mia.”

Un mormorio quello del Diavolo, come aveva potuto non comprenderlo? Era un angelo corrotto, era il vizio, era l’essenza stessa dell’umanità e come l’umanità stessa desiderava, sognava, soffriva di ogni vizio esistente e l’amore era il vizio più grande. E lei era stata così sciocca da non averlo compreso, da non averlo visto avvicinarsi a lei Halloween dopo Halloween, notte dopo notte, chiacchierata dopo chiacchierata. Pensava fosse il suo gioco, invece era ciò che desiderava, ciò che lo portava a sé come se lei fosse il sole e lui un umile pianeta.

Lo baciò, un bacio caldo e delicato che venne accolta con la sorpresa di un amante che non crede di poter essere ricambiato. Lo baciò lasciando che le labbra scoprissero quella bocca ancora sconosciuta, calda, dolce nonostante a possederla sia il peccato fatto carne. “Vieni via con me” un sussurro quello di Lucifero che le rimbombò nelle ossa. “Fai in modo che questa sia la tua ultima notte.” aggiunse, una preghiera, poteva tutto ciò che era diverso dal credo pregare? “All’alba” e sentì nuovamente le labbra sulle sue. “Voglio essere umana per questa notte” e voleva sentirlo, voleva sentire ciò che gli umani dicevano di provare da secoli: l’amore, la carne che si univa e non per ciò che Adamo credeva. E prima che potesse aggiungere altro lui la trasportò in quello che sembrava una casa, le labbra che cercavano continuamente le sue, che scoprivano la sua bocca che non si ricordava più i sapori dei baci da troppo tempo. Le mani cercavano i suoi capelli, si intrecciavano tra le ciocche ed era come se l’amore esistesse davvero quella notte.

Poteva davvero esserlo? Era tra le braccia dell’oscurità vivente, di ciò che più di tutti gli uomini temevano eppure era più dolce dell’uomo per cui era stata creata, più dolce di quello che l’aveva abbandonata, più dolci di molti che aveva guardato per strada avvicinarsi alle donne. Lasciò cadere la semplice veste, armeggiò con quello che lui aveva indosso e prima ancora di poterlo guardare si ritrovò spostata sul letto, il corpo nudo, il petto che si alzava e abbassava velocemente mentre cercava di riprendere fiato. “Sono secoli che ti attendo.” Secoli in cui si era presentato, in cui l’aveva dapprima tormentata e poi confortata in quell’eternità che non sembrava avere una fine. Non ribatté, Eve, lasciò che fosse lui a muoversi, a lasciare che la bocca assaporasse la sua pelle, che scivolasse verso la curva del seno. Accidia, aveva atteso per secoli prima di decidersi, si era crogiolata nel dolce far nulla. Le morse il capezzolo, lo prese tra i denti, strinse con forza mentre con la mano libera scivolava verso il basso per sfiorarle le cosce in piccole e delicate carezze concentriche. Lo sentiva sfiorarla, assaporare il suo seno con lingua e denti quasi fosse il suo banchetto e lei un corpo che desiderava da troppo tempo eppure la guardava, la guardava come se volesse che sapesse che era per lei e non solo per lui.

Superbia. Era stata così superba a credere di poter essere libera nel giardino di Dio, di poter avere tutto: conoscenza e libertà e una vita perfetta. Sentì le sue dita scivolare tra le cosce, cercare il suo calore, la carne morbida e bagnata che si nascondeva in una parte di lei che Adamo non aveva mai sfiorato, ma in cui era solo affondato. Una dolce e terribile carezza, un qualcosa di frustrante e che la fece inarcare prima di sentirlo ridere sul suo seno, sulla sua pelle. Altre carezze, ma voleva di più, voleva sentirlo davvero, voleva…voleva, desiderava, era un essere così imperfetto, nato nel peccato prima ancora che fosse creato da Dio. Lo sentì infilarle un dito dentro, farla gemere mentre lo muoveva, mentre lasciava che lui la facesse sentire in qualche modo carne e anima, qualcuno, umana nonostante aveva smesso di esserlo da troppo tempo. Altri baci, altri morsi, la sua bocca che cercava il suo seno e le sue labbra, il suo corpo che rispondeva al suo in una danza mentre un altro dito affondava, cercava di farle provare ciò che l’amore faceva agli uomini. E ora, mentre lo sentiva scivolare fuori da lei, dal suo calore, lo vide sorridere. E lei lo baciò, baciò quel bel sorriso, baciò la sua bocca, il suo collo e scivolò sempre più in basso sentendo il suo respiro farsi più umano, più rapido mentre le labbra sfioravano il suo membro, mentre giocava con lui, con il suo di desiderio. Lo guardò, era una donna nonostante non avesse vissuto appieno, era una donna e voleva sentire il suo sguardo, il suo tentativo di guardarla mentre la lingua giocava con la punta di quella durezza, di quel membro così vigoroso come solo il re della Lussuria poteva avere.

Gola, il desiderio di divorarlo, di sentirlo gonfiarsi nella sua gola, di sentirlo sussurrare il suo nome tra un ansito e l’altro, nel sentire il suo involucro di carne e sperare che anche il Diavolo stesso si senta umano per una notte. Lo divorò con la bocca, succhiò con la stessa avidità con cui aveva morso la mela, lasciò che le mani modellassero la base e la aiutassero prima di scivolare verso il basso e l’alto in una danza fatta da respiri affannosi, di gemiti, della sua lingua che sfiorava la carne e di lei che cercava di possederlo in qualche modo. E solo quando si staccò lo vide muoversi più veloce, gettarla nuovamente sul letto per poterle aprire con forza le cosce ed essere lui a divorarla. E lei lo voleva.

Lussuria, la stessa con cui lui leccava la sua intimità, la esplorava con la lingua e le dita e con cui lei chiedeva di più, chiedeva ancora, ancora, ancora. Avidità, la stessa con cui la sua mano gli teneva la testa tra le sue cosce, inarcandosi per andargli incontro mentre il piacere la faceva scivolare nell’animale irrazionalità della carne. “Sarò tua, sarò tua, sarò tua.” gli disse, mormorii misti a mugolii che resero la sua lingua più veloce, quasi volesse prendere di più del dolce liquido del piacere, quasi volesse strapparle l’anima dal corpo a colpi di lingua. E prima che potesse toccare il piacere più puro, lui si fermò, lo sguardo scarlatto così vivo da sembrare metallo fuso, da essere non solo un colore, ma lo specchio dell’inferno stesso. “Sarai mia. Sarò tuo.” Mormorò prima di affondare in lei, fermandosi solo per baciarla. Adamo non la baciava quando cercava il suo corpo, Adamo la guardava ansimando, sudava mentre lei rimaneva come un pezzo di stoffa immobile sotto di lui. Un bacio, un affondo, un bacio e l’unione dei corpi, un bacio e il muoversi delle anche, un bacio e una nuova danza. “Voglio darti tutto ciò che desideri” un altro sussurro, il corpo che si muoveva, le gambe che si allacciavano con le sue, i piedi di Eve che si muovevano ad ogni dolce scossa di piacere. Lo aveva fatto: aveva voluto la libertà e l’aveva avuto, non voleva andarsene ed era rimasta per sempre, aveva voluto provare l’umanità e lui gliela stava regalando in una sola notte. “Voglio tutto.” disse con un mugolio, voleva tutto.

Avidità, era avida, avida di lui, avida di vita, avida di morte, avida di umanità, avida e basta. Voleva tutto, voleva lui, voleva il mondo intero. Voleva sentire le spinte del suo corpo farsi più veloci, voleva vederlo gemere per lei, scivolare sotto di lei. Lo spinse, era lei ora a dettare il ritmo, le spinte, la forza, era lei ad amare il Diavolo e non viceversa. “Tutto” ripeté l’oscurità prima di rituffarsi tra le sue labbra. Tutto. E il mondo cambiò spinta dopo spinta portandola in quel mondo dove il Diavolo era il sovrano e lei un’anima dannata come le altre. Halloween era finito e lei per una volta non era più tornata.
Gettò la testa all’indietro, vide l’anima di Adamo in gabbia, costretta a guardarla mentre lei si muoveva sopra il membro del Diavolo. Si scostò e lui non la fermò, la lasciò fare mentre tornava sul suo membro con la bocca, leccandolo mentre i suoi occhi rimanevano fissi sull’uomo che non l’aveva mai amata, ma voleva solo possederla. Avrebbe succhiato quel membro di fronte a lui, lo avrebbe torturato con il suo peccato, lo avrebbe lasciato guardare mentre il Diavolo esplodeva tra le sue labbra dischiuse. Succhiò, lo fece con una nuova foga, con un nuovo desiderio, con qualcosa di più dolce della lussuria. Lui le stava dando davvero tutto, le stava dando una rivincita. Succhiò, lo sguardo fisso verso il dannato, succhiò di nuovo prima di sentire il sapore agrodolce del piacere sulla lingua e aprire la bocca per mostrarlo al
vecchio amante. Sentì il diavolo ridere prima di baciarla di nuovo.

Ira, perché avrebbe continuato ciò che lui faceva da tutta l’eternità: sfregiare le anime di chi l’aveva distrutta.

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