Dieci anni

Dieci lunghi anni erano ormai passati da quando Virginia, ancora una giovane fanciulla, aveva affrontato le tenebre dell’aldilà, salvato l’anima di Sir Simon e sposato il suo amato Lord Cecil.

Nonostante i suoi americanissimi genitori si fossero infine integrati alla perfezione tra la nobiltà della verdeggiante campagna di Ascot, ancora faticavano a mantenere un certo contegno, quando Virginia doveva presentarsi come Lady Cheshire. I gemelli poi, neanche a dirlo, si erano fatti dei giovanotti alquanto attraenti e, ovviamente, avevano dirottato il loro amore per le marachelle verso guai di natura decisamente più mondana. Di certo i pettegolezzi sulle loro prodezze non mancavano, ma le dicerie, molto probabilmente vere, sui loro supposti scambi di persona ai danni povere giovincelle di paese, non turbavano i signori Otis e certamente nulla facevano per offuscare la grazia di Virginia, che sempre, seppur benevolmente, veniva schernita dai giovinastri per la sua pomposa condizione di duchessa. E infine c’era Washington, che si comportava come il solito vecchio asociale Washington, tutto azione e niente chiacchiere.

Ora, si avvicinava in questo periodo, la festa di Halloween e da bravi americani, i signori Otis avevano trasformato la splendida tenuta di Canterville Chase in un vero e proprio luna park degli orrori (seppur il vero orrore, agli occhi dei più, fosse l’aver ridotto una tale magnifica residenza, simbolo del potere e della perfezione dell’architettura neogotica inglese, in un fenomeno da baraccone). Sebbene l’eccentricità della famiglia fosse mal tollerata dai più snob dell’aristocrazia locale, nondimeno portava una ventata di allegria nell’uggiosa campagna anglosassone ed era perciò guardata con (alle volte finta) benevolenza dall’altera società rurale. Virginia naturalmente era abituata all’esuberanza della famiglia e, nonostante fosse sempre stata una ragazza riflessiva e riservata, anche lei traeva divertimento dalle stranezze della famiglia.

Per la festa, naturalmente, l’intera famiglia Cheshire era stata invitata a Canterville: quale location migliore per festeggiare Halloween, dell’ex dimora di un vero fantasma? D’altronde i pragmatici signori Otis non si sarebbero mai lasciati sfuggire l’occasione di creare un vero e proprio business attorno alla terrificante storia del povero Sir Simon di Canterville (che la sua anima riposi in pace in paradiso accanto all’amata moglie, eccetera, eccetera). Così la casa era sempre in fermento: visite guidate, notti spaventose a tema, ricostruzioni storiche del XVI secolo e i gemelli che di notte si fingevano il fantasma, spaventando gli ignari ospiti (o infilandosi nel letto di qualche signorina).

Quello che nessuno, a parte Virginia, sapeva, era che questo Halloween sarebbe stato molto molto speciale. La giovane donna non aveva mai rivelato a nessuno, nemmeno al suo adorato Cecil, cosa avesse visto nell’oscurità del mondo dei morti, né cosa si fossero detti quella notte lei e Sir Simon. Lui l’aveva lasciata con una promessa prima di andare finalmente in pace: verso il volgere del secolo, durante la festa in cui il mondo dei vivi e quello dei morti si uniscono in una sola realtà, lui sarebbe tornato per ringraziarla del suo coraggio.

Durante il soggiorno Virginia e Cecil avrebbero alloggiato nella stanza del secondo piano vicino alla stanza della musica. Il primo passo all’interno della vecchia casa di famiglia le fece palpitare il cuore. Avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco per tutto il tempo delle festività, ma il momento per il quale smaniava con trepidazione e che dall’inizio dell’anno la tormentava era quella fatidica notte. Gli ultimi dieci anni con Cecil erano stati i più felici della sua vita, era divenuta madre, aveva un matrimonio perfetto e tuttavia, per quanto ci provasse, non riusciva ad abbandonare il ricordo e la promessa del suo cavaliere. E invero era da un po’ di tempo che pensava a lui come al suo cavaliere. Non ne aveva alcun diritto, lo sapeva, lui apparteneva ad un’altra, seppur morta da tempo e così faceva un torto al suo amato marito, ma il pensiero, per quanto si punisse nelle solitarie ore trascorse immersa nei suoi pensieri, non l’abbandonava.

***

“Che giornata, cara. La tua famiglia riesce sempre a dilettare e al tempo stesso esaurire ogni singola fibra del mio essere. Un vero talento”.
Lord Cecil era elegantemente reclinato su una scura poltrona Voltaire, le gambe incrociate sullo sgabello corredato e sorrideva stanco alla moglie.
“Via via, non è stata la fine del mondo. Non ancora comunque… ma hai ragione, sembra che per i gemelli non siano affatto passati dieci anni e mia madre non la finiva più di parlare di quanto fosse stato conveniente l’acquisto di quelle sciocche decorazioni da giardino”.
“Ti prego cara, non farmi commentare la rozzezza dei giardini, è già sufficiente che abbia dovuto posarci lo sguardo” disse Lord Cecil con un teatrale gesto esasperato del braccio e le bocca corrucciata.
Virginia ridacchiò sommessamente alle buffonate del marito. Sapeva essere così irritantemente e squisitamente inglese con una semplice espressione del volto a volte.
“Beh, dato che hai già avuto il dispiacere di vederli oggi, sono certa che domani, quando ti presenterai ai nuovi turisti, non avrai un’espressione tanto sconcertata”.
“Stai celiando?”
“Affatto.”

Lord Cecil la guardò incredulo e inorridito, ma Virginia rispose con un’espressione di finta innocenza che fece trasparire tutta l’impossibilità del marito di poter avere un’opinione in merito. Esasperato e distrutto, levò le braccia al cielo, si alzò dalla sedia e si cambiò negli abiti da notte. Poi con fare drammatico e svenevole si lasciò cadere sul letto. A volte era proprio un bambino. Anche Virginia si cambiò d’abito, si infilò nel letto e attese. Il sonno non sarebbe mai venuto. Rimase immobile, fingendo di dormire, aspettando che Cecil sprofondasse col respiro pesante nel suo sonno ristoratore e nei suoi sogni consolatori. Passarono due ore; le parve un’eternità. D’un tratto il grande pendolo della hall risuonò come un gong il primo rintocco.

Uno. Virginia alzò le coperte.
Due. Scese dal letto.
Tre. Uscì scalza dalla porta.
Quattro. Si diresse verso la stanza della musica, l’attrazione irresistibile. Non sapeva cosa fare, Simon non le aveva detto nulla, lo sentiva e basta.
Cinque. Un’arpa risuonò nel corridoio.
Sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici…

Il cuore le batteva così forte da scuoterle il petto, se lo sentiva in gola, l’aria un sibilo che lasciava a stento le sue labbra.

Aprì la porta scricchiolante. Sir Simon di Canterville era seduto all’arpa e la pizzicava dolcemente. Non era più la figura emaciata che aveva lasciato dieci anni prima alle soglie del paradiso. Era come un tempo, come nei dipinti appesi alle pareti, la prima volta che era entrata a Canterville Chase. Era vigoroso e giovane e bello.

Sir Simon alzò gli occhi, li posò su di lei, liberò un sospiro nella brezza fredda che entrava da una finestra aperta. Gli spiragli di luna che penetravano dalle tende gonfie mostravano la sua vera condizione. Una trasparenza inumana, tagliata dalla luce lattescente che si mescolava come fumo ai bordi della sua figura.

Virginia trattenne il respiro. Immobile. Oh, quanto aveva bramato di rivederlo ancora una volta, quanto aveva sognato di donare a quelle mani ruvide, memori solo della spada e della guerra, il morbido tocco della sua pelle. Lasciò vagare il suo sguardo sul corpo di Simon: gli stivali con gli speroni, simbolo del suo rango, i pantaloni di cuoio neri fasciavano le sue cosce muscolose e il farsetto avvolgeva le spalle larghe e il busto in una cascata di foglie di broccato dorate. Al dito portava un anello con un rubino che scintillava nella penombra. Il suo volto tradiva l’emozione sotto il contegno signorile: le labbra dischiuse in un’espressione di meraviglia e desiderio, contornate dai folti baffi e il pizzo, gli occhi azzurri bordati di rosso che trattenevano a stento la brama e il pianto, i capelli, tenuti all’indietro in morbide onde che si arricciavano alla base del collo, scossi appena dal tremito dell’intera sua figura, di un’anima che si strugge ma non osa, tesa come la corda di un arco. Non osava Sir Simon, negli occhi, la paura e la trepidazione per il momento tanto atteso, ma anche una richiesta, una supplica e una promessa. Non avrebbe agito senza il suo consenso; lei sola aveva il potere di decidere.

Fece un passo in avanti Virginia, circospetta, incerta sotto il suo sguardo così intenso. Poi prese coraggio e lentamente lo raggiunse. Era alto, non più l’uomo curvo e spento che aveva appoggiato la testa al suo petto in cerca di consolazione. Ora era lei a sfiorare coi capelli la sua guancia.

Virginia si accostò a lui senza toccarlo, le mani stringevano la sua camicia da notte. Invece appoggiò delicatamente la fronte alla sua guancia, chiudendo gli occhi. Simon li chiuse a sua volta, immobile, solo un lieve sospiro lasciò trasparire la sua commozione.

Si guardarono.

“Sei qui”.

“Ma certo” rispose lui in sussurro.

Virginia portò una mano al suo volto, lui chiuse nuovamente gli occhi e chinò la testa da un lato per offrirle la guancia e permettere al calore di quel corpo vivo di penetrare nella sua pelle. Lei assaporò la sensazione della pelle ispida sul suo palmo, il lieve raspio delle sue unghie nella sua barba l’unico suono sopra il suo respiro. Si avvicinò sfiorando col seno il suo petto e lasciando scivolare una mano sul suo farsetto fino al suo cuore fermo. D’un tratto le mani di Simon coprirono le sue e le sue labbra sfiorarono il centro del suo palmo, mentre lei studiava la sua espressione. Lui riaprì lentamente gli occhi e, senza mai abbandonare i suoi, lasciò scivolare la mano dalle dita che tenevano il suo volto lungo l’avambraccio di Virginia per fermarsi esitante a sfiorare il suo fianco, in una richiesta silenziosa, che lei concedette, andando a intrecciare invece le sue dita nei capelli dietro al suo collo.

Rimasero così a lungo, premuti appena l’uno all’altra, le fronti ad un soffio dall’appoggiarsi, mentre ondeggiavano dolcemente sul posto al suono dell’arpa da lui incantata.

“Non hai dimenticato quello che ti dissi allora. Mi hai aspettato.”

“Non mi dicesti veramente tutto però, non è così? Persino allora, così giovane, sapevo che celavi parte della verità”.

“E’ così, ma proprio perché così giovane, io, in cuor mio, non ho potuto dirti tutto”.

“Perché?”.

“Perché io ero morto e tu avevi il diritto alla possibilità di essere felice in questa vita, con un uomo che ti amasse e che ti desse tutto ciò che a mio tempo ho avuto anch’io. Non potevo legarti a qualcosa che non aveva un futuro e tu così acerba avresti permesso, che ciò che ti ho nascosto, ti condizionasse per tutta la vita, senza darti l’opportunità di vivere questo mondo. Dopotutto, il tempo di sperimentare la morte e ciò che ne consegue arriva sempre ed è molto più di quello che ci è concesso su questa Terra”.

Simon tacque per un po’, concentrato a raccogliere i pensieri e un’ombra di rammarico passò sul suo volto.

“Hai potuto sperimentare un matrimonio pieno d’amore e la gioia di essere madre. Non merito questo privilegio e tu non meriti le conseguenze di ciò che devo dirti, ma sono debole e sono riuscito a concederti solo questi miseri dieci anni”.

“Mio caro Simon, sono pronta alle conseguenze, ti prego, ti prego ora, non tacermi più la verità, poiché non sono più una fragile ragazzina! Non dopo ciò che ho veduto”.

Le lacrime minacciavano di sgorgare da quegli occhi supplichevoli e Sir Simon non l’avrebbe sopportato. Poggiò infine la sua fronte a quella di Virginia, le palpebre serrate, la fronte corrugata, la mano che stringeva quella sul suo petto come per darsi forza.

“Per tutto il tempo durante il quale mi stetti accanto dieci anni fa, non facevo altro che pensare di averti già incontrata ed era così! Dio solo sa come ho potuto dimenticare il volto della donna cui feci il torto più grande, ma col passare dei secoli il suo ricordo si affievoliva insieme alla mia speranza e così non ti riconobbi, finché non giungemmo nell’aldilà. Solo allora compresi davvero, che per tutto quel tempo tu mi avevi ricordato Eleanor, perché tu eri Eleanor! Nella mia impazienza di ricongiungermi con lei nell’altro mondo per poterle chiedere perdono, non mi resi conto che lei era già tornata, già accanto a me e mi aveva perdonato. Capisci ora perché tacqui? Come avrei potuto legarti a me con una tale rivelazione e privarti di una vita vera e piena?”. La sua voce tremava, il suo contegno spezzato.

Virginia lo guardava mentre le lacrime solcavano le sue guance.

“Oh Simon” disse in un sussurro meravigliato.

“Non ho alcun diritto, alcun diritto di…”. Un dito si posò sulle labbra di Simon.

“Credevo di esser pazza ad amare un fantasma, ma ora tutto ha senso”.

“Virginia…”.

“E’ tutto a posto Simon. E’ tutto a posto, va bene. Ho sempre desiderato la tua pace amore mio e se questa notte te la donerà infine, sarò tua. Amo Cecil, voglio vivere questa vita fino in fondo e resterò con lui fino al giorno della nostra dipartita. Ma quando quel giorno arriverà spero che ricambierai il favore e sarai dall’altra parte ad attendermi per recuperare il tempo perduto. Come hai detto tu, allora ne avremo in abbondanza”.

“Mia cara Virginia, lascia che questa notte ti dimostri l’amore che non ho saputo darti secoli orsono. Porterò questo ricordo con me finché non sarà giunto il momento e quando lascerai questo mondo sarò lì ad accoglierti”.

Simon si chinò piano su di lei e sfiorò le sue labbra; dopo qualche istante si incontrarono infine in un casto bacio carico di emozione. Si fermarono un istante per assaporare il primo contatto e guardarsi negli occhi sorridendo, poi lui le circondò la vita e la schiena con le forti braccia e la attirò a sé, lasciandola in punta di piedi, mentre lei affondava le mani nei suoi capelli per avvicinare il volto al suo. Il secondo bacio fu pieno di passione, lento e liberatorio, i due amanti si stringevano, riversando in quel bacio dieci anni di attesa, separandosi appena per riprendere fiato prima di rituffarsi l’uno sulle labbra dell’altro.

Si fermarono infine, ansimanti, sebbene lui non necessitasse di respirare. Il calore di lei aveva cominciato a riscaldare il suo corpo freddo sotto gli abiti e a ricordargli l’ardore della vita. La sollevò da terra, attraversò la stanza e la depose sulla chaise longue vittoriana di un chiaro indaco, i bruni capelli di lei si mischiavano nel buio tra i ricami neri. La adagiò sul velluto e la coprì col suo corpo mentre continuava a baciarla. Scese sul collo, sulla clavicola, in mezzo ai suoi seni, mentre le mani vagavano sui fianchi sotto la candida camicia da notte. Le gambe di Virginia si schiusero per cullarlo nel suo grembo e le sue dita cominciarono ad aprire i bottini del suo farsetto. L’indumento cadde a terra insieme agli stivali e Simon rimase in pantaloni e camicia bianca con un profondo scollo a v che lasciava intravedere il petto muscoloso. Vi pose le mani Virginia, finalmente a contatto con la pelle appena tiepida, per poi risalire lungo il collo e nei suoi capelli, mentre lui reclinava il capo all’indietro con gli occhi chiusi ad assaporare il suo tocco. Si chinò a baciarla di nuovo e in un istante di impazienza sollevò l’abito da notte e glielo sfilò, lasciandola nuda sotto di lui. La ammirò alla fioca luce lunare, la pelle candida e le gote rosee, i seni pieni, i fianchi torniti dalla maternità e le curve morbide.

“Ti sei fatta una donna splendida mia cara”.

Ricominciò a baciarla, venerando quel corpo come un idolo sacro. Un bacio sul petto, un tenero morso sulla spalla, la lingua su un capezzolo. Lei sospirava ad ogni tocco, guaiva ad ogni morso e intanto trascinava le unghie sulla sua schiena portando con sé la camicia, sfilandogliela. Nel frattempo Simon era giunto all’inguine e scendeva verso l’interno della sua coscia; la mordicchiò con un sorriso mentre lei rideva per il solletico, poi si spostò tra le pieghe del suo sesso e il riso divenne un gemito quando la sua lingua dischiuse le sue labbra. La sua lingua risalì lentamente fino al clitoride e cominciò a leccarlo lentamente, alternando brevi colpetti a lunghi movimenti circolari. Le sollevò le gambe sulle spalle e continuò così, implacabile, senza accelerare, finché non la sentì tremare tra le sue braccia. Una mano afferrava quasi dolorosamente i suoi capelli e l’altra era sulla sua bocca per fermare i gemiti che minacciavano di scappare ed essere uditi dagli ospiti, solo a qualche porta di distanza. La sua schiena era inarcata, le lacrime intrappolate nella ciglia mentre lui continuava il suo assalto e poi, all’improvviso, Simon infilò due dita dentro di lei e Virginia rilasciò un lungo gemito sommesso e venne sulle sue labbra a lungo e dolcemente, finché con la mano spinse delicatamente lontano da sé il capo di Simon.

Simon la appoggiò nuovamente al cuscino e ammirò il suo lavoro. Quando il cuore di Virginia si calmò, fu scossa da un brivido, l’aria della notte fredda sulla sua pelle sudata. Lui avrebbe voluto possederla subito, in quel preciso istante, ma ancora attendeva il suo consenso, nonostante fosse evidente il gonfiore sotto il cuoio dei pantaloni. Virginia tese una mano verso di lui, Simon la attirò a sé, si mise in ginocchio sulla sedia e la appoggiò sulle sue gambe. La morbidezza umida tra le sue gambe si poggiò sul membro ancora ingabbiato di Simon e quest’ultimo trasalì al contatto. Lei lo baciò ancora allora, trascinando il suo sesso sul cuoio ruvido in corrispondenza del gonfiore. Sospirava Simon ad ogni contatto, poi le mani di Virginia andarono ai lacci dei suoi pantaloni, li allentarono e una mano scivolò all’interno, stringendolo tra le dita. Lui ebbe un sussulto a quelle carezze delicate ma decise. Non poteva più resistere. Si alzò e si sfilò i pantaloni. Rimase nudo davanti a lei, mentre Virginia ammirava la sua figura innaturale alla luce fioca. Un altro brivido la scosse e Simon si affrettò a coprirla col suo corpo. Lei si sdraiò sulla sedia e lo accolse tra le sue braccia. Rimasero così per un po’, mentre lui spingeva ritmicamente il membro contro il suo clitoride.

“Ti prego…”.

Lei annuì semplicemente nell’incavo della sua spalla.

Un braccio si fece strada in mezzo ai loro corpi, lui si prese in mano e si guidò alla sua entrata. Con un movimento fluido, ma controllato. Entrò di qualche centimetro e si fermò quando incontrò resistenza, tornò indietro e affondò di nuovo, sempre più a fondo, finché non fu completamente circondato da lei. La sua fronte ricadde sul bracciolo della sedia. Da quanto tempo, da quanti secoli non provava una simile sensazione. Un tremito e un singhiozzo sfuggirono al suo corpo, mentre le mani di Virginia accarezzavano i suoi capelli e la sua schiena nel tentativo di confortarlo. Dopo alcuni istanti Simon cominciò a muoversi, piano, poi con affondi sempre più lunghi per assaporare ogni centimetro. Virginia lo accoglieva malleabile. Continuarono così per un tempo che parve infinito, godendo semplicemente della vicinanza dell’altro, finché non furono completamente bagnati in mezzo alle gambe. D’un tratto Simon cominciò ad aumentare il ritmo; il suo respiro affannoso, artefatto da un antico riflesso, si posava freddo sulla guancia di Virginia. La prendeva con vigore ora, lei lo sentiva toccarla in profondità e accendere il suo desiderio sempre di più. Le sue mani torturavano i suoi seni. Acuti gemiti sfuggivano dalle labbra di Virginia e Simon li ingoiò, baciandola con fervore. Ancora qualche spinta e Virginia venne tremando, avvinghiata lui, il sangue che le pulsava nei timpani. Una volta che si fu accasciata sulla sedia, Simon fece per fermarsi, ma lei lo tenne stretto a sé.

“Continua amore mio”.

A Simon sfuggì un lamento sconfitto, appoggiò un piede a terra per avere una leva migliore e riprese a muoversi dentro di lei. Venne poco dopo, tremando, stringendola a sé e attutendo i suoi gemiti nel cuscino. Rimase così alcuni minuti crogiolandosi nelle carezze di Virginia finché il suo respiro non scomparve di nuovo. Si girò allora, si sdraiò sulla sedia e appoggiò Virginia la suo petto. Rimasero così, nel silenzio, per diverso tempo, accarezzandosi.

Lo fecero ancora in seguito quella notte, l’unica che gli fosse concessa.

***

Il cielo iniziò a tingersi languidamente dei colori dell’aurora. Simon sospirò.

“Il mio tempo su questa Terra è finito. Devo andare, presto mi richiameranno al luogo cui appartengo”.

Virginia accarezzava il suo petto senza dire niente. Cercava solo di fissare nella memoria ogni dettaglio.

Col sorgere del sole Simon diveniva sempre più evanescente. La baciò un’ultima volta.

“Aspettami”.

“Arrivederci mia cara Virginia”.

I primi raggi del sole lambirono la chaise longue e Simon scomparve per sempre da Canterville Chase.

***

Virginia tornò nella sua stanza. Lord Cecil era ancora addormentato. Si infilò a letto.

“Come mai ti sei alzata tesoro?” disse Cecil con voce roca.

“Avevo freddo, ho preso un’altra coperta”.

“Cielo, sei congelata davvero e per di più te ne sei andata in giro scalza. Vieni ti riscaldo io”.

Virginia si accoccolò tra le braccia del marito.

“Perdonami, non me ne andrò più d’ora in poi, promesso”.

“Via via, non intendevo certo sgridarti per una cosa così banale, non è necessaria tanta contrizione”.

Virginia sorrise. Non aveva compreso. Naturalmente non aveva compreso, ma lei avrebbe mantenuto comunque la sua promessa.

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