“Chi Tromba a Capodanno…”

Le vacanze di Natale in Puglia dalla mia famiglia proseguono abbastanza spensierate. Mi godo il tempo con la nonna, mi faccio coccolare da mamma e papà, esco con gli amici di una vita. Vivo al massimo questi giorni di tranquillità, prima del rientro a Milano che si fa sempre più vicino.

La sera del 31, dopo la tradizionale cena con i parenti, a cui anche quest’anno mi sono presentata “dignitosamente brilla” (cit.), dopo la mezzanotte mi sono data una sistemata per raggiungere il mio gruppo di amici a casa di Alessia.

Non sapevo esattamente che tipo di serata mi aspettasse. Sapevo che ci sarebbero state un po’ di persone, casa di Ale è molto grande, i suoi ricchi genitori sono partiti (beati loro) per un capodanno in Madagascar, quindi alcool e musica non sarebbero mancati. 

Decido di vestirmi carina, non perché io abbia chissà quali intenzioni, ma perché dai, è capodanno.

Indosso una camicia di chiffon nera, in pratica un velo trasparente di tessuto leggerissimo, con collo a barca che lascia scoperte le spalle. Sotto ho un reggiseno nero che non regge nulla, viste le dimensioni micro dei miei seni, ma che rende l’outfit abbastanza sexy.

Ho una gonnellina molto mini a fasciarmi il culetto sodo e calze nere. Il mio metro e 56 guadagna ben dieci centimetri grazie alle décolleté.

Prima di uscire chiamo il mio ragazzo, rimasto con la sua famiglia a Milano, gli faccio gli auguri mandandogli una foto del mio outfit allo specchio, e ci salutiamo.

Passa a prendermi Manuel, un ragazzo che abita poco distante da casa dei miei, che conosco dalle elementari. È stato il mio primo bacio. Ero cotta di lui, quando alle medie io ero un brutto anatroccolo occhialuto e lui il fighetto della scuola. Ora io non dico di essere diventata un cigno, però dai, mi difendo. Con lui invece il tempo è stato un po’ più impietoso. I capelli corvini sono quasi del tutto caduti e lui camuffa il tutto con una rasatura totale del cranio. Barbetta incolta e pancettina immancabile. Ora, da qualche annetto, so di non essergli indifferente, ma non è mai successo nulla.

Salgo in macchina avvolta in un lungo cappotto nero, con il cappellino di lana rosa che mi schiaccia sul viso i capelli biondi, e lo saluto schioccandogli un bacio su una guancia. “Augù” dico, abbozzolandomi sul sedile. “Pur’attè” risponde, avviando la macchina.

Arriviamo a casa di Alessia che è già l’una passata. Ci apre lei, ci saluta entrambi, invitandoci ad abbandonare le giacche nell’armadio accanto alla porta. Non c’è bisogno di grandi convenevoli, siamo amici da una vita.

La casa si apre in un grande soggiorno open space. L’arredamento è classico, da persone benestanti sulla sessantina. Molti quadri alle pareti, tappeti ovunque, mobilio antico in legno. 

C’è un grande tavolo, al centro della sala, in cui in cinque stanno giocando a poker avvolti dal fumo delle sigarette. 

Poco sulla destra un altro tavolino con qualsiasi cosa da bere. Scorgo fuori dal balcone Anna e Ciccio che fumano, probabilmente una canna, conoscendoli. 

Dalle casse esce una playlist di brani synth pop, niente di insopportabile, comunque. Poteva andare peggio.

Mi avvicino al tavolo dei drink, prendo una bottiglia di birra e sorseggiando vado a salutare le amiche, che chiacchierano più avanti.

La serata procede tranquilla, di quelle normali tra amici. Tra drink, birre, sigarette e qualche tiro alle canne di Ciccio. Di tanto in tanto arrivano facce nuove mentre qualcun altro va via. Il volume della musica si abbassa man mano che si fa più tardi.

Ora sto chiacchierando con uno di cui ho già dimenticato il nome. Uno carino, potrebbe essere mio coetaneo, forse qualche anno più giovane. Ha i capelli castani e ricci, barbetta, occhi sul verde. È più alto di me di parecchio, sarà sul metro e novanta, e parla con un accento che potrei definire ispanico. 

Non so di chi sia amico, ma è carino e mi fa ridere, e tanto mi basta. 

Tra un drink e un altro ci mettiamo effettivamente poco a ritrovarci sul divano davanti alla tv, io con le mie gambe sulle sue, entrambi sotto una calda coperta di lana a quadroni. 

In tv c’è un vecchio film con Hugh Grant che guardiamo a tratti, anche perché tra la musica e le chiacchiere dei pochi amici rimasti ancora impegnati nel poker, non si sente granché. 

Di tanto in tanto le nostre labbra si incontrano in baci languidi. Sembra un ragazzo educato, probabilmente non mi trascinerebbe mai in una stanza, ma sotto le gambe sento comunque che quei baci stanno risvegliando qualcosa.

Alessia è in camera sua che scopa verosimilmente col suo ragazzo di una vita. Anche altri hanno dato seguito alla credenza popolare secondo cui far sesso a capodanno possa portare ad un anno ricco di lussuria, solo io, rischio di rimanere indietro, anche per colpa di una festività vissuta lontana dal mio ragazzo.

Diciamo che ora, però, potrei avere qualche chance.

Passo una mano dietro la schiena di questo ragazzo che ha la fortuna di essere solo nel posto giusto al momento giusto. Mi intrufolo con le dita dentro i suoi jeans, sfiorandogli l’osso sacro e subito accanto una chiappa bella soda.

I baci continuano, alternati a dei sorrisi e a finti sguardi al film, giusto per non farci scoprire dagli altri amici.

La sua grossa mano si muove dal mio ginocchio scorrendo sicura a farsi spazio tra le mie cosce. Allento la presa e lascio che si avvicini un po’ di più al traguardo. Sospiro e sorrido, quando le sue dita premono contro il mio sesso che si inumidisce al tocco. 

Quel calore che si scioglie sul tessuto delle mutandine sembra essere un invito a quelle dita, che ora oltrepassano la barriera degli elastici e mi penetrano senza troppi complimenti. “Mmmh” mugolo, sgranando gli occhi mentre la mia lingua danza con la sua. Il mio sospiro si intensifica, man mano che quelle due dita affondano nella mia glabra patatina.

Divarico le gambe per godermi meglio quella mano che mi lavora sotto la coperta, e questo mi consente di avere abbastanza spazio per potergli sbottonare la cintura e i pantaloni per tastare per bene quel membro che sentivo in trappola.

Le dimensioni sembrano essere notevoli, nella mia piccola mano. Lo libero dall’elastico e inizio a segarlo, mentre non accenno a staccarmi dalla sua bocca.

La mia mano si muove per tutta la lunghezza della sua asta, gli sfioro i testicoli gonfi e risalgo per massaggiare con l’indice la sua cappella umida di quel liquido pre-seminale. Sento sospirare anche lui e quei sospiri si intrecciano ai miei, frutto di quelle dita che mi stanno scopando al punto da rendere zuppe le mutandine.

L’idillio di questo momento, però, viene interrotto quasi bruscamente da Manuel.

“Mì… il telefono…” mi urla dall’altra parte della stanza. 

Stacco il viso dal ragazzo senza nome e mi volto, scorgendo appena Manuel da dietro la spalliera del divano. Mi viene incontro, portandomi il telefono illuminato. Mi ricompongo leggermente, restando ben coperta. 

La mano del mio amante occasionale è ancora nella mia passerina e il mio stringere le gambe è un modo per dirgli di non andare via. Anche la mia mano stringe ancora quel bel cazzone. 

L’altra, invece, richiamata all’ordine, recupera il mio telefonino dalle mani di Manuel, che ovviamente non capisce cosa stia succedendo sul divano e si siede accanto a me. 

È il mio ragazzo. In videochiamata.

Rispondo.

“Amore??” Dico dopo essermi schiarita la voce. Mi guardo nella finestrella della videochiamata. Ho i capelli spettinati e le labbra arrossate dallo sfregamento con la barbetta del ragazzo a cui forse dovrei chiedere di nuovo come si chiama.

Il mio fidanzato mi sorride e mi dice qualcosa di incomprensibile. È in un club con degli amici, c’è musica dal vivo, non si capisce granché, anche perché le dita nella mia fighetta continuano a muoversi come se niente fosse. Ma anche la mia mano su quel bellissimo cazzo non è da meno.
“Ti stavo pensando e ho deciso di chiamarti”, mi dice. Gli sorrido dolcemente “Awww, amore grazie, anch’io ti pensavo…” gli dico senza il minimo pudore, considerando che ho due dita nella passera e un cazzone nell’altra mano che continuo a segare con desiderio.

“Che fai di bello, oltre a pensarmi?” mi chiede. “Mah niente, sono con Manu e guardiamo un film…” rispondo girando il telefono dal lato opposto al parco divertimenti sotto le coperte e inquadrando il mio amico e il film.

Manuel lo saluta con ma mano. Lui ricambia. Io sussulto fradicia.

“Dai, ora… ora vado, sennò mi perdo il meglio…” dico inquadrandomi e schioccandogli un bacio. “Ti chiamo domani…”

“Okay, piccola, ti amo”.

Anch’io.

Chiudo la conversazione e lascio cadere il telefono sul divano.

Manuel, seduto alla mia destra, sembra rapito dal film, anzi, prende addirittura un lembo della coperta e se la porta sulle gambe. “Ma questo è un coglione…” penso.

Vabbè. 

Fingo un improvviso attacco di sonno e mi distendo sulle gambe del sudamericano senza nome. Piego le gambe e le appoggio su quelle di Manuel, come a provare a distanziarlo un po’. Mi copro completamente fin sopra la testa e mi ritrovo davanti al bel cazzone che ancora pulsa nella mia mano.

Ovviamente c’è carenza di luce, ma ce n’è abbastanza da poter scorgere quelle dimensioni che avevo disegnato nella mia testa solo grazie al tatto. 

Con la lingua raccolgo quegli umori che sono sciolti tra le mie dita, lecco bene quell’asta e risalgo fino ad avvolgere completamente la turgida cappella. Muovo la testa sotto la coperta e inizio a succhiarlo e a gustarmelo per bene. Intanto le sue dita ad uncino mi scopano con maggiore foga e io ansimo con la bocca piena di quel cazzo che non riesco neanche a prendere completamente.

Ora però, sono i miei piedi ad avvertire qualcosa. Sento chiaramente un’erezione crescere sotto le piante dei miei piedini, ormai orfani dei tacchi.

Istintivamente premo contro di essa. 

La mia cotta delle elementari si sta eccitando a guardarmi fare un pompino sotto le coperte. L’idea mi infiamma e sento che tra le gambe sono un rubinetto aperto.

Un primo orgasmo vaginale mi fa tremare, mi fa stringere le cosce, ma non placa affatto la mia eccitazione. 

Le dita che erano dentro di me si defilano e ora sento aria fresca entrare nel mio naso. La coperta è caduta e mi ha liberato la testa. 

Mi stacco da quel cazzone e lo guardo, raccogliendo con la lingua quel ponte di saliva che ci tiene uniti. È grosso, lungo e la pelle ha un colore scuro, quasi mulatto. Per prenderlo tutto ci vorrebbero entrambe le mie piccole mani. Mi mordicchio il labbro inferiore, incantata, e torno a pomparlo, cercando di succhiarlo il più possibile senza soffocare. 

Abbasso lo sguardo. Manuel mi sta guardando. Sono eccitata. Struscio i piedini contro la sua erezione. Sento il suo pisello duro sotto i bottoni dei jeans, seppur di dimensioni modeste, rispetto a quello nella mia bocca.

Manuel non mi stacca gli occhi di dosso, mentre si libera il membro dalle costrizioni, lasciandolo a mia disposizione.

Lo cingo tra le dita dei piedi mentre i miei collant neri luccicano dei suoi umori. Lui mi aiuta, stringendomeli con le mani e guidando il movimento. Si sta praticamente facendo una sega con i miei piedi, ‘sto porco.

Intanto la mia bocca si riempie di quel cazzone che il ragazzo sbatte ritmicamente contro la mia gola, scopandomi la bocca.

Non ne posso più. Mi sollevo e mi avvolgo della coperta. Non che ce ne sia bisogno, considerando che io sono quella dei tre più vestita, ma le regole le faccio io. Ora voglio un posto più comodo. 

Senza dire nulla vado verso una delle millemila stanze della casa. C’è un letto. Non è matrimoniale, non è in verticale rispetto al muro, anzi è un banale letto ad incasso con l’armadio intorno, non è nemmeno “apparecchiato” ma me lo faccio andar bene. 

L’ispanico, coprendosi (male) il sesso rigido, mi viene subito incontro, mentre Manuel resta lì, a guardarci andar via come un cane bastonato.

Sollevo gli occhi al cielo pensando che ad alcuni uomini le cose devi proprio spiegargliele coi disegnini, e gli faccio ampi cenni per invitarlo a raggiungerci. In due secondi, zompettando felice come un capretto, arriva nella stanza. 

Stendo la coperta che mi avvolge sul letto e mi sfilo la maglietta, lasciandola cadere sul pavimento. L’ispanico viene alle mie spalle e mi libera del reggiseno, invitandomi con una spinta a poggiare le mani contro la parte superiore dell’armadio. Le sue dita scivolano sulle mie braccia fin sui fianchi e risalgono a stringermi le tettine.

Manuel viene accanto a me, mi volta il capo verso di lui e mi infila prepotente la lingua in bocca. Ora ho gli occhi chiusi, non so la mano di chi è sulle mie tette e quali mi stanno abbassando contemporaneamente le calze e le mie fradicie mutandine rosso-Natale (lo so, sono scaramantica). Onestamente mi importa poco.

Resto in quella posizione, in piedi e rivolta verso l’armadio, con la testa girata verso Manuel che continua a limonarmi neanche volesse sfogare tutti i baci che non mi ha dato negli anni. Intanto, dietro di me, sento l’ispanico sollevarmi la gonna sulla vita e allargarmi le gambe. Poi si inginocchia, e mentre avverto le sue mani che mi allargano le chiappette, ecco la sua bocca che fruga e sguazza nel mio sesso bagnato e il suo viso premere tra le mie natiche. Dura dannatamente poco, quell’idillio. Essendo un gigante, rispetto a me, non doveva stare particolarmente comodo. Infatti si rialza.

La punta del suo enorme cazzo si struscia tra le mie gambe ed entra con facilità nella mia passera fradicia. Lo spinge in me così lentamente da farmi mancare il fiato.

Inizia a scoparmi così, mentre sono ancora in piedi. 

Manuel intanto si spoglia completamente, si mette in piedi sul letto e si avvicina quel tanto da consentirmi di prendere in bocca il suo cazzo. 

Questo riesco a prenderlo in bocca tutto, è decisamente più “comodo”, seppure più piccolo in spessore. Lo succhio e mugolo mentre vengo letteralmente sfondata dal ragazzo alle mie spalle. Non ce la faccio. Ho le gambe che tremano. 

Mi allontano dal cazzo di Manuel e chiedo ad Ispanico di staccarsi. Mi siedo sul letto riprendendo un attimo fiato. 

Ho entrambi i cazzi davanti alla faccia e non posso non approfittarne. 

Li spompino un po’ entrambi, a turno, finché non decido che è di nuovo il momento di essere scopata.

Lascio che Ispanico si distenda sul letto e mi metto a cavalcioni su di lui, prendendogli l’asta dalla base e dirigendola dentro di me.

Chino il petto sul suo ed inizio a cavalcarlo. I movimenti sono ben coordinati, un po’ lo cavalco io, un po’ mi sbatte lui, facendosi sentire con dei rantoli da maschio sudato e arrapato.

Con la coda dell’occhio vedo Manuel girare e venire di nuovo verso la mia bocca.

“Mettimelo dietro…” gli dico in piena trance da eccitazione.

Corre come un bambino a Disneyland e viene dietro di me. È impacciato, lo sento, e ci mette diversi tentativi, prima di riuscire finalmente a mettermelo nel culetto. 

Ora godo come non mai, proprio come volevo. Dentro di me sento quei cazzi riempirmi al punto che sembrano quasi toccarsi e darsi un cinque, quando sono entrambi in profondità.

Sento Manuel ansimare più forte e neanche il tempo di dirlo, mi scarica nel sedere la sua abbondante cartuccia di sperma. Quando lo tira fuori non è più duro, direi più barzotto, e sgocciolante.

Mi sollevo col busto e riprendo a cavalcare il bellissimo cazzo di Ispanico, perpendicolare su di lui. Lo sento arrivare fino in fondo, sembra arrivare a toccarmi il cuore. Forse urlo un po’ troppo. È davvero un bel cazzo, e mi sta scopando divinamente.

Lo guardo in viso, quasi a voler fissare nella mente quelle espressioni, visto che il nome è andato da tempo, almeno ricordarmi il viso.

“Sto scopiàndo…” dice con quell’affascinantissimo accento di chissà dove.

Disarciono da quello stallone bellissimo che mi sarei volentieri portata a casa, e scivolo con la bocca su di lui per succhiarlo e godermelo ancora qualche attimo.

Lo sento tremare, sento il cazzo irrigidirsi e quelle palle stringersi. 

Si libera in un orgasmo bellissimo, che fa piovere pioggia di sborra sul mio viso, sui miei capelli e tutto sul suo ventre disegnato da uno scultore.

Manuel ce l’ha di nuovo duro, Ispanico credo non si sia mai ammosciato, ma io sono esausta. Per ora. 

Direi che alla casella della scopata di capodanno la possiamo metterci una crocetta. Anche per quest’anno.

Per fortuna. C’è mancato poco.

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