Cappuccetto Rosso

C’era una volta, in una valle sperduta del centro Italia, un ragazzo che tutti chiamavano Cappuccetto Rosso.
Era un giovanotto poco più che maggiorenne, di bell’aspetto e dai tratti del viso molto dolci.
Da tutti i suoi coetanei veniva però considerato come uno sfigatello: tutto casa e chiesa, viveva solo con la madre un po’ iperprotettiva.
Quest’ultima, tempo addietro, aveva sferruzzato per lui un bel maglione di lana rosso come un peperone maturo e dotato di cappuccio per difendersi dal vento.
Il ragazzo lo indossava sempre, guadagnandosi così il soprannome con cui anche noi lo conosciamo.

Un sabato mattina come tanti Cappucetto era in cucina, intento a finire la sua tazza di latte e cereali, quando sua madre entrò con un cestino di vimini e una commissione da affidargli:

“Ho bisogno che tu oggi vada dalla nonna a portarle questo cesto!” gli disse con tono dolce che però non ammetteva repliche. “Sai che è malata e fatica ad alzarsi dal letto. Qui dentro c’è un bel barattolo di miele, un fagotto di biscotti fatti in casa e una busta con i soldi da dare al parroco. Sai bene, infatti, che in settimana passerà per il consueto giro di benedizioni”.

Lievemente scazzato, ma obbediente come sempre, il ragazzo prese il cestino e si diresse verso la porta quando la madre soggiunse le ultime raccomandazioni: “Fai attenzione, vai piano e ricordati di non prendere la strada che passa vicino al bosco! Sai che è piena di sgualdrinelle, e non vorrei che corressi il rischio di incontrare la Lupa cattiva”.

Cappuccetto era cresciuto coltivando una grande paura della Lupa: non si trattava di un animale beninsteso, bensì di una vecchia compagna di scuola della madre che col tempo era diventata la più troia del paese.
Cappuccetto non l’aveva mai incontrata di persona, ma aveva sentito qualcosa su di lei: era una milfona alta più di due metri, bella in carne e con le tette gigantesche.
Ninfomane fin dalla giovinezza, pareva avesse presto cominciato la professione più antica del mondo; e si raccontava anche che la sua tecnica per attirare i clienti fosse quella di alzare la gonna all’improvviso davanti ai finestrini delle auto, mostrando una grande figona pelosissima alla quale pochi riuscivano a resistere.

Fissato il cestino davanti alla sella Cappuccetto mise in moto il suo vecchio scooter e notò la lancetta del carburante pericolosamente vicina al livello della riserva.
“Acciderbolina” pensò “con così poca benzina non riuscirò ad andare dalla nonna passando per la strada che fa il giro lungo”.
Il dilemma era grave: disobbedire alla mamma prendendo la strada vicina al bosco oppure scegliere la strada più lunga aggiungendo un’ulteriore deviazione per raggiungere il benzinaio?
“Questa volta la mamma se ne farà una ragione” sentenziò Cappuccetto guidando il motorino verso la strada proibita.

Viaggiando per quella strada capitava spesso di incontrare delle prostitute che, anche al mattino, attendevano gli operai in uscita dal turno notturno nelle segherie della zona.
Cappuccetto sapeva di non dover nemmeno guardare quelle “donne della perdizione”, tuttavia era pur sempre un ragazzo e quelle signorine non potevano che attirare la sua curiosità.
Riuscì con stoicismo ad ignorare completamente la prima che gli si presentò sulla destra; arrivato dinnanzi alla seconda le diede un veloce sguardo al sedere, fasciato da una stretta gonna leopardata.
La terza puttana che incontrò, però, aveva una scollatura tanto profonda da catturare magneticamente il suo sguardo: Cappuccetto involontariamente rallentò il motorino finendo quasi per fermarsi incantato da quelle tette bianche, morbide e poco coperte.
“Ehi bello, sono Giovanna e ho le tette di panna! Ti va di giocare con me?” Chiese la donna facendo ballonzolare il davanzale.
Il ragazzo, colto in contropiede da quella battuta, diventò rosso come il suo maglione e si ritrovò a balbettare: “N-no-no non posso, devo anda-da-dare da mia nonna, che abita nella casa in cima alla collina!”.
Dopo aver faticosamente completato la frase impugnò la manopola dell’acceleratore (anziché l’altra manopola che nel frattempo si era formata fra le sue gambe) e riprese la strada.
Giovanna, invece, divertita dall’accaduto si lasciò andare ad una grossa risata solitaria e si mise a cercare nella borsa il proprio cellulare, mentre osservava quel curioso soggetto dileguarsi nel mattino.

Finalmente Cappuccetto arrivò a in cima alla collina, prese il cestino e bussò alla porta della nonna.
“Avanti!” Si sentì rispondere “Sei tu nipotino mio? La porta è aperta, raggiungimi in camera”.

Con i pensieri ancora rivolti al pallido seno intravisto una mezz’oretta prima, Cappuccetto seguì alla lettera le istruzioni, senza prestare troppa attenzione al timbro della voce che le aveva impartite.

Giunto nella stanza trovò la nonna avvolta fra le coperte rimboccate fino alla punta del naso e con il suo orribile berretto da notte calato fin’oltre le sopracciglia.
“Hai così tanto freddo nonna? Mamma mi aveva detto che non stavi troppo bene. Ti ho portato un po’ di roba: ci sono i biscotti, la marmellata, la busta con l’offerta per il parroco…”
Mentre ancora parlava Cappuccetto si stupì nell’osservare qualcosa di diverso negli occhi della sua cara nonnina.
“Ma nonna!” soggiunse quindi “che occhi grandi che hai!”.

“È per guardarti meglio caro nipotino mio”.

Qualcosa non quadrava, la lingua del ragazzo fu più veloce del suo cervello. “Ma nonna, anche la tua voce mi sembra cambiata, è più profonda e meno rauca!”.

“È per farti meglio i complimenti mio bel giovanotto”.

Senza badare all’assurdità di questa risposta Cappuccetto notò la bocca che nel frattempo aveva fatto capolino da sotto il lenzuolo: “Ma nonna, che labbra grandi e carnose che hai!”.

“È per spompinarti meglio, brutto idiota!” Tuonò la donna balzando fuori dal letto.

Il ragazzo rimase paralizzato un secondo prima di mettersi a urlare con tono isterico: “Do- do- dov’è la nonna? Chi sei tu? Che ci fai qui?”.

Le risposte non tardarono ad arrivare.

“Come non mi riconosci? Io sono la Lupa! Tua madre ti avrà parlato di me, no? La Lupa cattiva, grossa e troia; quella che è stata sputtanata davanti a tutto il paese dopo che quella santarellina frigida di tua madre l’ha scoperta a fare pompini a scuola.
È stata tua madre a crearmi, a rendermi la puttana che sono diventata. Non trovi giusto che io me la prenda con la sua famiglia?
Ma non preoccuparti per tua nonna: non è nemmeno malata, sai? Lo stava diventando, rompendosi le palle a furia di fare solo cose da vecchia! Ma io l’ho guarita, facendole provare il piacere di una bella leccata di figa!
L’ho incontrata due giorni fa e da allora ci siamo proprio divertite.
Ora quella vecchia baldraccona è di là sul divano che ronfa, dopo che abbiamo scopato per tutta la notte!
Ma dopo tanta figa ora ho proprio voglia di un bel cazzo. Meno male che sei arrivato tu, e meno male che quella puttanella di Giovanna mi ha avvisato del tuo arrivo, così ho potuto inscenare questo bel teatrino”.

Cappuccetto era rimasto immobile per tutto il tempo, folgorato dalla veemenza di quel monologo.

Solo al calare del silenzio il suo cervello aveva cominciato a rielaborare quanto udito.
Almeno la nonna non era in pericolo; bene.
E cosa aveva detto la Lupa su sua madre? Come si era permessa di parlare male della mammina!?
E veramente la nonna si era fatta traviare da una poco di buono? Non era possibile.
Ma soprattutto: aveva capito male o la Lupa ora voleva proprio prendersi il suo…

“Cazzo, che aspetti!? Togliti quei pantaloni!”.

Cappuccetto tornò improvvisamente alla realtà. Quasi rispondendo al volere della Lupa il suo pene si fece barzotto fra le braghe.
Ma mentre l’istinto lo guidava verso la donna, la sua moralità lo frenava, intimandogli di scappare.

La Lupa intuì la battaglia che si stava svolgendo nella mente di Cappuccetto Rosso e decise di ricorrere subito alla sua arma segreta.

In un istante balzò in piedi sul letto, divaricò un poco le gambe, protrasse il bacino e sollevò completamente la gonna.

Meraviglia!
Una visione incantevole si dispiegò davanti agli occhi di Cappuccetto.
Una pelliccia folta, riccia e di un nero lucente scendeva dalla sommità del pube fin sotto l’attaccatura delle cosce carnose.
Al centro si apriva una larga sorca succosa: le grandi labbra spesse e morbide salivano fino ad abbracciare l’importante clitoride.
Più in basso esse si dischiudevano lasciando che le piccole labbra, di poco più scure, facessero capolino.
A completare la magnifica visone una gocciolina di umori pendeva dalla fessura rifrangendo la luce del mattino che entrava dalla finestra.

Cappuccetto Rosso non aveva mai visto dal vivo un’altra figa con cui fare un paragone (e anche in foto ne aveva viste molto poche) ma era sicuro che non potesse esistere al mondo qualcosa di più affascinante.

In un secondo perse ogni freno inibitore, si slacciò i pantaloni e avanzò verso la Lupa sventolando il suo pene eretto.

“Oh finalmente, vieni a scoprire cos’é una pompa, piccolo sfigato”.
Disse la Lupa prima di infilarsi fra le labbra in un sol boccone il pene del ragazzo.

Un po’ perché per Cappuccetto rosso questa era la prima esperienza, un po’ a causa della bravura e dell’esperienza di quella puttana, ma questo primo pompino durò meno di un minuto.
Erano bastati pochi movimenti di quelle labbrone carnose e qualche colpetto con la lingua per far sì che il ragazzo cominciasse ad ansimare svuotandosi nella bocca della donna.

“Già venuto? Sei veramente uno sfigato, eh? Ma devo dire che hai un buon sapore” commentò la Lupa leccandosi le labbra. “Forse però è un po’ troppo insipido, potremmo migliorarlo, non trovi?”.

Prima che Cappuccetto comprendesse il significato di queste parole la Lupa aveva già arraffato dal cestino di vimini il barattolo del miele, lo aveva aperto e vi aveva immerso il membro del ragazzo, che nel frattempo era tornato sull’attenti.

“Mmh, molto più saporito” constatò la donna sogghignando mentre passava la sua lingua dal fondo dello scroto alla punta della cappella.
Questa volta ci volle qualche minuto prima che Cappuccetto esplodesse nuovamente in un intenso orgasmo.

“Ti è piaciuto vero? Ora però basta con i pompini, è giunto il momento di entrare nella mia tana!”.
Solo a sentir nominare la figa della Lupa il cazzo di Cappuccetto si rinvigorì.
“Forza ragazzo, vieni qui e fammelo sentire” preso il pene fra le mani la Lupa si sdraiò sul letto e lo guidò fin nel folto della foresta.

Non servivano ulteriori indicazioni, l’istinto guidava Cappuccetto nel suo frenetico andirivieni, su e giù per il profondo tunnel.

Non c’era dubbio: stava vivendo la sensazione migliore che la vita gli avesse mai regalato.

“Cappuccino, Cappuccetto, fammi sentire meglio questo cazzetto!” Lo canzonò la troia pizzicandogli le chiappe.
A dire il vero quello del ragazzo non era proprio un cazzetto, ma un bel pene dritto, perfettamente nella norma sia in lunghezza che in larghezza.
Ciò però non era abbastanza per gli standard di una donna così navigata.

“Cappuccetto, ora ti prendo questo cazzetto, e me lo metto nel culetto!” La Lupa fece tutto da sola prendendo il membro con la mano e direzionandolo verso l’entrata posteriore, anch’essa circondata da una folta peluria.

Le sensazioni provate in questa seconda tana furono così nuove e inebrianti da portare rapidamente Cappuccetto a venire per la terza volta nell’arco di una mezz’ora.

Ma la giovinezza, l’insano potere seducente della Lupa e l’eccitazione accumulata in anni di completa castità gli davano ancora energia.
I due continuarono quindi a scopare per altro tempo ancora, cambiando buchi, posizioni, fino al momento in cui Cappuccetto, stremato, le riversò nel profondo solco fra le tette le poche gocce di sperma rimastegli.

La Lupa, invece, pareva ancora piena di energie.

Alzatasi rapidamente raggiunse il cestino abbandonato sul pavimento e sbirciò nella busta con l’offerta destinata al parroco.
“Questo sarebbe il mio pagamento vero?” Chiese divertita, mentre infilava i soldi nella propria borsetta. “Ma non basta per tutto ciò che abbiamo fatto stamattina, nemmeno se applico lo sconto per i nuovi clienti, vorrà dire che mi ripagherai in natura, vero Cappuccetto? Dai, vediamo se sei in grado di leccare una figa!”.

Naturalmente quel discorso non aveva un minimo di senso: il ragazzo non le aveva chiesto nessuna prestazione e quindi sapeva di non doverle un centesimo.
Tuttavia non si azzardò a contraddirla, ma docilmente le si inginocchiò davanti e cominciò a passare la lingua fra le sue grandi labbra.

Non si può dire che fosse bravo, tuttavia la Lupa sembrava per lo meno apprezzare l’entusiasmo.
Un entusiasmo che però, col passare del tempo, cominciava a scemare.
La Lupa non pareva intenzionata a fermarsi: dopo aver raggiunto l’orgasmo si era cosparsa la figa col miele rimasto nel barattolo pretendendo un nuovo trattamento.
Infine aveva fatto sdraiare Cappuccetto sul letto e si era seduta sulla sua faccia per farsi leccare sia la sorca che il culo.

Il ragazzo era ormai senza un filo di energie: aveva la mente alienata e la lingua dolorante.
Proprio nell’istante in cui sentiva che sarebbe crollato, però, udì una voce profonda, di uomo, irrompere nella stanza.

“Lupa! Lupa! Che cazzo stai facendo? Quello che hai sotto al tuo culone è Cappuccetto Rosso? Non vedi che rischi di soffocarlo il quella foresta che ti ritrovi fra le gambe!?”

La voce era quella del cacciatore: un amico della nonna che evidentemente era passato per farle visita.

“Alzati da lì e vieni a prenderti un paio di colpi del mio fucile”.
Così dicendo il cacciatore appoggiò la sua arma al muro, si abbassò la cintura ed estrasse dai pantaloni un bel fucile di carne spesso non meno di quello in acciaio.
Attirata da un membro così imponente la Lupa si alzò immediatamente dando così a Cappuccetto l’occasione per svignarsela fuori dalla stanza.

Mentre richiudeva la porta dietro di sé, ancora tutto nudo, incontrò la nonna che nel frattempo si era svegliata.

“E così la Lupa ha fatto scopare anche te, eh?” gli chiese divertita “non sai quanto mi ha fatto godere negli ultimi giorni, mi sento ringiovanita”.

Cappuccetto era abbastanza stupito dal sentir parlare così la nonnina: “Ma quindi è vero? Anche tu…”

“Già” rispose candidamente la vecchina. “La Lupa è passata di qui qualche giorno fa e ho pensato di farla entrare per un tè (dopotutto era una vecchia compagna di classe di mia figlia) e poi… Beh puoi immaginare come è andata.
Certo che è insaziabile e non sa mai quando fermarsi. Ma ora lasciamo che si sfoghi col cacciatore, mi pare di capire che si stiano proprio divertendo” concluse la nonna ammiccando verso la porta della stanza dalla quale provenivano gemiti intensi.

“Ma nonna, io, io non volevo”.

“Suvvia ragazzo, non è successo niente di male, non vorrai mica fare la fine di mia figlia vero? È sempre stata così refrattaria al sesso che mi domando come abbia fatto a concepirti…”.

Quello della mamma era un’argomento che per un po’ Cappuccetto voleva evitare, quindi cambiò discorso: “Ti avevo anche portato i soldi per fare l’offerta al prete, ma lei se li è intascati”.

“Ah sì? Che sporca baldracca” rispose la nonna, forse un poco indispettita ma non certo allarmata “Vorrà dire che forse, quando don Francesco passerà per la benedizione, troverò un altro modo per ringraziarlo…” soggiunse con un sorriso la nonna, guardando il nipotino assonnato crollare sul divano.

Note finali:

Se il racconto vi è piaciuto scrivetemi pure nei commenti quali altre fiabe vorreste vedere reinterpretate

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